I precari della Scuola scendono in piazza per protestare contro il mercimonio dei titoli, mentre la
Commissione Europea deferisce l’Italia alla Corte di Giustizia per le condizioni a cui sono costretti a
sottostare gli insegnanti. La notizia riaccende le speranze di decine di migliaia di docenti che ogni anno
lottano per un posto ma, come sottolinea Roberto Cosentino, Segretario Nazionale del Comparto
Scuola e Università della Confael, i giudici comunitari hanno già censurato in più occasioni il sistema
italiano. Adesso, “Serve una sentenza risolutiva”.
In Italia sono precari un docente su quattro, oltretutto i numeri sono pressoché raddoppiati nell’arco degli ultimi otto anni. Come si è arrivati a questa situazione?
È vero, sono raddoppiati in otto anni gli insegnanti precari della scuola italiana. Una crescita costante,
che ha attraversato governi e maggioranze diverse, arrivando al dato attuale di oltre 200.000
insegnanti precari su un totale di meno di un milione di docenti in servizio. Oltretutto, non fa eccezione
nemmeno il personale ATA: uno su cinque è precario. Si deve prendere atto che il sistema di
reclutamento e le politiche di investimento nei riguardi del precariato sono stati fallimentari.
Ma il motivo è meramente economico? Quanto risparmia lo Stato mantenendo questa situazione?
Non sappiamo quanto lo Stato possa risparmiare, ma sappiamo con certezza che tutto il personale
precario vive alla giornata, senza sapere cosa gli riserva il futuro e questo vuol dire che lavora senza la
serenità necessaria a svolgere correttamente la propria mansione. La soluzione del problema dunque
non consiste nel tagliare le risorse, ma nell’investire sulla Scuola per garantire la stabilità del personale.
Allo stesso tempo si deve avere la consapevolezza che senza la stabilizzazione del personale si
pregiudica anche la qualità della Scuola.
I docenti in particolare sono parcellizzati in una miriade di categorie differenti – triennalisti, ingabbiati, riservisti, precari storici, ecc. Questo clima non contribuisce a spaccare la categoria, con gli insegnanti che si fanno la guerra l’un l’altro per accaparrarsi i pochi posti disponibili?
Il 12 ottobre scorso Roma è stata teatro di una manifestazione significativa contro il precariato.
L’evento ha sottolineato l’urgenza di una stabilizzazione dei docenti precari. Pensiamo che il doppio
canale di reclutamento sia l’unica via per risolvere velocemente il caso poiché prevede le nomine per il
50% da GPS e per il 50% da concorsi: in questo modo i precari storici potrebbero ottenere il
riconoscimento dei loro anni di servizio e i concorsi potrebbero dare, ai nuovi docenti, la possibilità di
entrare nel mondo della Scuola a tempo indeterminato. Siamo convinti che per tutti coloro che
intendono entrare nel mondo della scuola l’unica via, per il futuro, sia quella dei concorsi. Chi supera
un concorso vince la cattedra ed entra di ruolo, chi non lo supera deve farsene una ragione.
I docenti precari, per scalare posti in graduatoria sono anche tenuti a frequentare dei corsi formativi ogni anno. Questo sistema, è innegabile, garantisce che abbiano una preparazione adeguata, ma è anche vero che i docenti sono costretti a investire ogni anno lo stipendio di due o tre mesi per guadagnare qualche punto in graduatoria. Non si rischia di trasformare il precariato in una sorta di business?
Sì, i docenti precari per acquisire punteggi e avanzare nelle graduatorie sono tenuti a frequentare corsi
formativi ogni anno. Per ottenere l’abilitazione, i docenti si devono affidare alle Università, le quali
preparano pacchetti su tecnologie e metodologie applicate alla disciplina e tirocini didattici in presenza
e solo una minima parte online, per giunta a numero chiuso. Così diversificati: per i triennalisti, da
decreto del 4 agosto 2023, corsi da 30 crediti formativi (Cfu); per i non triennalisti che però hanno i 24
Cfu dell’ordinamento previgente 36 Cfu; infine per i precari con meno di 3 anni di supplenze e per i
neolaureati 60 Cfu. Tra i guai dei corsi abilitanti c’è anche l’ostacolo che ci si può iscrivere solo in una
Università senza prima essere certi di essere presi e pagando 100 euro a fondo perduto, così almeno
nel caso dell’ateneo di Bologna.
La Commissione Ue ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia per il precariato nella Scuola. Quali sono i motivi di questa decisione?
In sostanza perché non ha posto fine all’uso eccessivo di contratti a tempo determinato e a condizioni
di lavoro discriminatorie nella Scuola. Due le questioni sollevate: l’abuso dei contratti a termine tra gli
insegnanti e il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità. Bruxelles constata che la normativa
italiana – che determina la retribuzione degli insegnanti a tempo determinato nelle scuole pubbliche –
non prevede una progressione salariale incrementale basata sui periodi di servizio precedenti, cosa che
costituisce una discriminazione rispetto ai docenti assunti a tempo indeterminato, che hanno diritto a
tale progressione retributiva.
Ma se gli insegnati precari subiscono tante discriminazioni rispetto ai colleghi di ruolo, come mai i giudici italiani non sono mai intervenuti?
Alcune sentenze ci sono, come quella con cui la Corte d’Appello di Salerno affronta la questione di
diritto inerente al riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, dell’anzianità di servizio maturata dai
lavoratori assunti con reiterati contratti a tempo determinato nel settore scolastico. Viene finalmente
superata l’interpretazione che in passato aveva escluso il diritto dei dipendenti pubblici assunti con
contratto a termine al riconoscimento dell’anzianità di servizio e, di conseguenza, si ammette il diritto
al riconoscimento dell’anzianità di servizio anche ai fini economici e, per i lavoratori del settore
scolastico, il diritto agli scatti biennali, alla luce della portata generale del principio di non
discriminazione e di parità di trattamento dei lavoratori. Pensiamo che questa sentenza debba essere
applicata a tutto il personale della Scuola, di ogni ordine e grado, per tornare finalmente alla
normalità.
Cosa succederebbe se la CGE condannasse il nostro Paese? Per gli insegnanti e il personale ATA precario cambierebbe qualcosa?
A noi farebbe piacere pensare che potrebbe cambiare tutto, ma bisogna essere realisti, visto che
esistono già precedenti discussi dalla stessa Corte Europea. I giudici comunitari, ad esempio hanno già
affermato che un lavoratore assente può essere sostituito per soddisfare esigenze provvisorie del
datore di lavoro; nel caso ad esempio di assenze per maternità e congedi parentali vi sono in ballo
anche obiettivi di politica sociale, e la sostituzione costituisce una ragione obiettiva. Ma siccome vi
sono anche delle finalità anti-fraudolente, viene vietato il rinnovo dei contratti che soddisfano esigenze
non provvisorie ma, di fatto, durevoli e permanenti. Spetta dunque alle varie autorità dello Stato
membro appurare cosa succede nel caso concreto, verificando se di fatto delle regole nazionali siano
concretamente utilizzate per soddisfare esigenze provvisorie, oppure permanenti e durevoli. La Corte
invita a guardare alla vicenda nel suo insieme, cioè considerando il numero dei contratti e soprattutto
la loro durata complessiva in un dato arco temporale. Insomma, un conto è che un lavoratore sia
chiamato a sostituire lavoratrici in maternità o congedo parentale con dei contratti che in media hanno
una durata di alcuni mesi; un altro conto è se questi contratti durino 10 mesi, con un impiego quasi
permanente. In questo secondo caso, stando a quello che scrive Corte di Giustizia, siamo di fronte a un
abuso. Spetta tuttavia al giudice nazionale appurare quando questo avviene.
E i giudici italiani hanno recepito questa sentenza?
I giudici italiani purtroppo giustificano dei contratti a termine che chiaramente non hanno nulla di
provvisorio, ma tutto di permanente – visto che durano 10 mesi l’anno e si ripetono per innumerevoli
anni. E che soprattutto non possono essere considerati come supplenze, dal momento che i precari
che ricevono incaricati annuali o fino al termine delle attività didattiche semplicemente non
sostituiscono alcun docente di ruolo temporaneamente assente. Il paradosso lo ha raggiunto la Corte
di Cassazione che, per legittimare un caso del genere, ha richiamato esplicitamente la sentenza della
Corte di Giustizia, dunque un precedente che le dà manifestamente torto. Adesso, la Corte di Giustizia
deve emettere una sentenza che chiuda la questione una volta per tutte.
Precari o no, secondo l’Ocse i nostri docenti sono tra i meno pagati d’Europa. È possibile intervenire, secondo lei?
I dati parlano chiaro. Purtroppo la carriera del docente è poco valorizzata socialmente ed è poco
attrattiva. Inoltre, gli scatti di stipendio sono di entità davvero risibile e si ottengono solo per anzianità,
con periodi troppo lunghi tra un avanzamento e l’altro. Sappiamo che le disponibilità economiche sono
limitate sicché pensare di poter rinnovare i contratti raggiungendo giuste quote di incremento salariale
è difficile, in fase di contrattazione si cercherà di ottenere il più possibile e poi, molto importante per
noi sarebbe riuscire a ottenere in via definitiva un miglioramento contrattuale con possibili
implicazioni normative di rilievo, partendo dalla graduale stabilizzazione del precariato.